La scorsa settimana, un mio ex compagno di classe, oggi più che altro un amico, ha condiviso su Facebook questo post: “Se hai vent’anni, vattene dall’Italia”, scritto da Francesco Piccinini.
Io non ho vent’anni, mio fratello ha vent’anni, quindi il post di Francesco, che più che un post è una lettera, mi ha fatto pensare più a mio fratello che a me stessa.
A mio fratello che è all’inizio della sua vita. A mio fratello che studia perché, da grande, vuole fare l’infermiere. A mio fratello che ha impiegato tanto a trovare la sua strada e che, ora, sembra averla trovata, anche se a volte sbanda ancora un po’!
Mi sono chiesta: “perché dovrei dire a mio fratello di fare fagotto e andarsene dall’Italia?“. Ha appena iniziato tutto, sta ancora studiando, non sa nemmeno lui che cosa diventerà e dove lo porterà la vita. Perché dovrebbe andarsene ora?
Perché dovrebbe rinunciare in partenza a cercare di crescere in questo paese? Stiamo veramente insegnando ai nostri ragazzi a non avere speranza, a credere che impegnarsi non serva e che le cose non cambieranno mai?
Dal mio punto di vista dovremmo insegnare ai giovani a credere nel cambiamento, a credere che tutto sia possibile, che con l’impegno e con la passione si possa arrivare ovunque.
Abbiamo dei doveri verso le nuove generazioni; se non crediamo più al cambiamento, se siamo sfiduciati e disillusi, i nostri giovani non possono e non devono esserlo.
Devono credere nel futuro, nel cambiamento, nell’impegno, nel duro lavoro; devono crescere convinti di poter fare tutto, di poter essere tutto. Poi, se trovano un futuro migliore all’estero, che vadano pure, ci mancherebbe, ma non possono rinunciare in partenza.
E questo perché se li cresciamo sfiduciati e disillusi, se li cresciamo convinti che “tanto nulla cambia, che nulla si può cambiare”, avranno questo atteggiamento sia che restino qui sia che vadano a Londra, a Madrid o in Islanda.
I miei genitori mi hanno cresciuta sostenendo le mie passioni, mi hanno lasciato fare Lettere Moderne, anche se in tanti mi dicevano “e poi? Che lavoro andrai mai a fare?”, mi hanno insegnato che l’impegno e il lavoro sono le uniche cose che ti portano lontano e che, invece di lamentarmi, era meglio cercare di cambiare le cose.
Quando ho avuto dei problemi, e mi sono resa conto che quei problemi mi stavano condizionando la vita, mi sono rimboccata le maniche e ne sono uscita, lottando e scalciando.
C’ho rimesso un buon numero di amicizie, 8 Kg che con ogni probabilità non riprenderò mai più (e già ero secca prima!), però ho guadagnato tutto quello che ho ora: un lavoro, una casa, degli amici veri, l’amore, una famiglia che inizia.
Quindi io non dirò a mio fratello di arrendersi e di andarsene; gli dirò che se all’estero trova un lavoro migliore, un futuro migliore, che vada pure, ma non ho intenzione di dirgli di rinunciare in partenza, prima ancora di averci provato.
E voi?
Come la pensate? Che cosa direste, oggi, a un ragazzo di vent’anni?