Alcuni di noi sono come i treni: sfiorano di continuo la collisione, eppure non smettono di cambiare binario, alla ricerca di quello giusto, quello che finalmente li porterà all’agognata “destinazione felicità”, dove si sentiranno – infine – al sicuro.
Altri sono come i camion: pur di superare e passare avanti, creano lunghe file nella corsia di sorpasso, tagliano la strada agli altri, che frenano macinando insulti. Ostinati e testardi, non si fermano davanti a niente e a nessuno.
Altri ancora sono come le auto ferme davanti a un passaggio a livello chiuso: gli occhi fissi a guardare avanti, senza poter fare altro se non aspettare, in attesa che si rialzino le sbarre e che la luce verde del semaforo dia loro il permesso di ripartire.
Altri ancora sono come le biciclette: incuranti delle indicazioni e dei segnali stradali, passano con il semaforo rosso, si infilano tra macchine, autobus, motorini e altre biciclette, procedono contromano; la vita è tutta loro, l’altro non conta.
Altri, infine, assomigliano agli autobus: vanno più veloci del limite consentito, superano anche quando non è permesso, si prendono la precedenza anche se non ce l’hanno, forti nel loro essere “più grossi”, “più rumorosi”, “più pesanti”.
In queste metafore di vita e di mezzi di trasporto, io preferisco andare a piedi.